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Musei di Allerona

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Il mare in Umbria

Non vi dovrete stupire se qualcuno vi racconterà che l’Umbria molto tempo fa era una regione bagnata dal mare con belle spiagge sabbiose e coste rocciose a falesia. Sicuramente state ascoltando un geologo e/o un naturalista, un osservatore instancabile della Natura che, anche durante una semplice passeggiata, viene attratto da qualsiasi cosa intorno a lui: un sasso, una pianta, una conchiglia, un frammento di terracotta, un pezzo di legno scuro, un campo di argilla con strane strutture rilevate. La Natura ci riserva sempre grandi sorprese: è sufficiente fermarsi e osservare, curiosare nei paraggi, scattare foto, raccogliere sassi strani e colorati.

Il geologo ed il naturalista conoscono sia le rocce che i fossili, e tramite queste “entità naturali” prova a ricostruire la storia del passato, anche molto lontano (da centinaia a migliaia di milioni di anni fa), ad identificare gli antichi ambienti marini, continentali e la vita che in essi si era sviluppata.

Con il lavoro di ricerca e ricostruzione degli eventi che si sono succeduti nel tempo (connessi alle forze endogene ed esogene di cui il nostro pianeta è dotato) e nell’identificazione delle molteplici forme di vita che hanno popolato i diversi ambienti, si esprime il ruolo di due importanti discipline: la Geologia e la Paleontologia. La sinergia di queste discipline ha fornito un contributo basilare per ricostruire le tappe evolutive del nostro pianeta, producendo evidenze sulle grandi trasformazioni della litosfera e della sua biosfera. Un esempio di ricerca geologica e paleontologica, mirata alla ricostruzione di eventi avvenuti durante il Quaternario (l’era geologica più vicina a noi, compresa fra 2.5 milioni di anni fa e 20.000 anni fa) nella nostra regione, è quella che riguarda particolari depositi sedimentari dell’Umbria sud-occidentale. Le ricerche geologiche degli ultimi dieci anni hanno permesso di ricostruire i paleo- ambienti sedimentari di questa area: l’antico mare Tirreno (paleo-Tirreno) si incuneava fra la catena dei Monti narnesi-amerini e la catena di Monte Cetona- Rapolano, formando un grande golfo bordato da spiagge sabbiose e ciottolose, foci fluviali e coste rocciose a picco sul mare (figura 1).

Figura 1 – A: Ubicazione dell’area di studio (Allerona); la linea tratteggiata indica la linea di costa del Paleo- Tirreno nell’Umbria Sud-occidentale durante il Quaternario. B: Ricostruzione del paleoambiente marino e dell’antica baia/golfo in cui le popolazioni di cetacei si addentravano.

La vita marina era al massimo della sua rappresentazione: i vertebrati e gli invertebrati popolavano i fondali sabbiosi e fangosi, i protozoi gremivano la colonna d’acqua marina fornendo il sostegno alla lunga catena alimentare. Le foci fluviali (delta e estuari) fornivano i nutrienti necessari alla proliferazione degli organismi unicellulari (fitoplancton e zooplancton) ed incrementavano lo sviluppo degli organismi superiori. Altre ricerche saranno necessarie per completare lo scenario, finora un grande contributo è stato fornito alla ricostruzione della storia geologica di questo settore dell’Umbria.

Un grande lavoro di diffusione della cultura scientifica è stato effettuato presso le entità locali, per incrementarne la cultura del passato (geologico) e sensibilizzarli alla tutela e salvaguardia di beni paleontologici (fossili) unici testimoni della vita di milioni da anni fa.

Torniamo al mare in Umbria ed a una delle tante escursioni di lavoro sul terreno: un vasto campo di argilla su dei calanchi vicino al paese di Allerona (TR) da cui emergono “spirali di roccia” mai viste finora.

La scoperta dell’Ambra Grigia Fossile

Premessa

Chi da ragazzo ha letto “Moby Dyck” il famosissimo romanzo di H. Melville del 1851 ricorderà sicuramente un passaggio:

(..) Stubb cominciava a mostrare in faccia la delusione, sopratutto perchè l’orrendo puzzo aumentava, quando all’improvviso proprio dal cuore di quella peste venne fuori una lieve zaffata di profumo.(..) « Eccola! Eccola! – gridò Stubb con gioia, palpando qualcosa nelle zone sotterranee – « Un sacco! Un sacco! » …Cacciò dentro tutte e due le mani, e trasse fuori qualcosa che pareva sapone Windsor maturo, o vecchio formaggio grasso e variegato, ma molto untuoso e saporito. Si può facilmente inciderlo col dito: è di un colore tra il giallo e il cinerino. E questa, amici miei, è l’ambra grigia, che vale una ghinea d’oro all’oncia in qualunque farmacia.

Melville narrava la ricerca, all’interno della carcassa flottante di un capodoglio, della pregiata ambra grigia, ricercata per le sue caratteristiche aromatiche come base per la produzione di profumi. Il suo attuale valore commerciale è di circa 20.000 euro al chilogrammo, e le masse più grandi finora trovate possono raggiungere anche i 300 chili.

Oggi il rinvenimento di pezzi di ambra grigia, lungo le spiagge, rappresenta una vera e propria fortuna per lo scopritore! La sua caratteristica è l’odore emanato dalla presenza di composti chimici (es. ambreina) che si formano all’interno di queste “masse organiche”.

L’ambra grigia è costituita da materiali organici simili alla cera che vengono prodotti dall’intestino dei capodogli (cetacei appartenenti alla famiglia degli Odontoceti, gli unici provvisti di denti), come difesa all’azione irritante dei becchi di calamari e totani che non vengono digeriti, ma si accumulano nell’intestino. Bisogna ricordare che la dieta dei capodogli è costituita prevalentemente da cefalopodi (totani e calamari) che cacciano e mangiano in grande quantità; la bocca dei cefalopodi è costituita da un becco duro e molto resistente costituito da chitina e proteine. Il corpo molle viene facilmente digerito ma i becchi si accumulano e transitando nell’intestino ne graffiano le pareti, provocando irritazioni ed infezioni. La mucosa intestinale dei capodogli produce questa sostanza che circonda i becchi ed indurisce. L’accumulo successivo di masse di ambra grigia, che non vengono espulse in quanto i capodogli emettono feci liquide, genera delle ostruzioni che possono causare la morte dell’individuo. L’ambra grigia è in grado di galleggiare, a causa della sua composizione, ed il contatto con l’acqua marina e l’esposizione al sole la trasformano per aroma e consistenza in quella sostanza tanto ricercata dai profumieri.

La scoperta

Nel settembre 2011 un gruppo di geologi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Perugia, composto da Angela Baldanza, Roberto Bizzarri, Federico Famiani e Paolo Monaco, durante una campagna di rilevamento geologico su affioramenti di argille marine del Pleistocene inferiore (Quaternario) nell’area di Allerona (figura 2A), trovarono delle strane e grandi strutture che emergevano dalle argille.

La loro forma, la composizione carbonatica (calcarea) e l’organizzazione in affioramento permisero subito di escludere un’origine legata a processi fisici di sedimentazione, bensì di collegarli ad organismi di grandi dimensioni. Le strutture erano delle “tracce fossili”, lasciate da organismi marini e rappresentavano la testimonianza della loro attività in prossimità del fondale. Nessuna delle tracce fossili descritte dalla letteratura scientifica era confrontabile con quelle scoperte ad Allerona. La misura e l’organizzazione di queste strutture (oltre 25) supportavano una origine biologica legata ad organismi di grandi dimensioni. Le ricerche si sono immediatamente avviate sia per analizzare la composizione chimica e mineralogica delle strutture che per risalire alla loro origine. L’unica somiglianza morfologica era quella con le masse di ambra grigia, le cui immagini abbondano nel web per l’interesse commerciale di questa sostanza.

Tutte le strutture vennero mappate sull’affioramento e si stimò una estensione areale di circa 1200 mq; una concentrazione assai elevata che aprì, immediatamente, ulteriori interrogativi. Tutte le strutture vennero campionate e su di esse si effettuarono analisi chimiche, mineralogiche e paleontologiche.

La ricerca

L’analisi al microscopio ottico delle strutture ha evidenziato la presenza di becchi di cefalopodi (calamari) mineralizzati in carbonato di calcio e microforaminiferi (protozoi unicellulari con gusci calcarei di dimensioni inferiori al mm). Le analisi chimiche hanno identificato la consistente presenza di molecole organiche derivate dall’ alterazione dell’acido colico, una sostanza prodotta dalla attività gastrica dei mammiferi, e aminoacidi liberi riconducibili alla composizione dei becchi di calamari.

Figura 2– A: panoramica dei calanchi di argille in località Bargiano (Allerona, TR) con strutture coniche che si elevano dal piano di campagna; B: grande struttura a spirale (1 m X 0.8 m), attribuita al nuovo genere e specie, Ambergrisichnus alleronae (Monaco et al., 2014); C: dettaglio di una parte apicale della struttura, con evidenti strie e avvolgimento a spirale.

Le analisi mineralogiche hanno accertato la composizione delle strutture: erano costituite da carbonato di calcio e magnesio, un minerale conosciuto con il nome di dolomite.
L’analisi ichnologica ha permesso di capirne l’organizzazione e soprattutto ha fornito le basi morfologiche per la descrizione degli olotipi e paratipi del possibile nuovo ichnogenere, riconducibile al gruppo delle “Cololiti”, ovvero resti organici accumulati nella cavità intestinale di un organismo e poi trasformati in “roccia” (mineralizzati).

L’insieme dei dati analitici, associati all’abbondanza di becchi di calamari, ha confermato l’ipotesi che le strutture di Allerona potessero rappresentare il primo esempio al mondo di “ambra grigia fossile”.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica americana Geology ed hanno avuto una grande notorietà: le testate giornalistiche scientifiche americane hanno divulgato, per prime, la notizia della scoperta di ambra grigia fossile ad Allerona (Italia Centrale, Umbria), e da queste poi la notizia si è diffusa in tutto il mondo.

La scoperta è oltremodo singolare se la consideriamo come l’unica testimonianza, al momento, della frequentazione di capodogli durante il Pleistocene nell’area di mare poco profondo di Allerona.
Testimoniare la presenza, anche se in modo indiretto, di capodogli in Umbria incrementa le ricerche sulle rotte migratorie di questi grandi cetacei durante il Pleistocene (intorno ad 1.8 milioni di anni fa) ed allarga le conoscenze sulla loro diffusione attuale nel Mediterraneo.